L’utilizzo dei social network è sempre più frequente nelle nostre giornate, e i comportamenti tenuti nel virtuale possono avere conseguenze anche importanti nel mondo reale.
E’ il caso del dipendente licenziato da una importante azienda italiana perché aveva postato sul proprio profilo twitter alcuni articoli di giornale ritenuti denigratori per l’azienda.
Il caso è arrivato fino alla Corte di Cassazione, la quale ha confermato la sentenza di appello, che ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore.

In primo luogo, la Corte di Appello ha rilevato come il lavoratore si fosse limitato a postare sul proprio profilo articoli già pubblicati da diverse testate giornaliste e ha ritenuto che non vi fosse alcun danno concreto per la società, vista l’ininfluenza del profilo twitter privato, rispetto alla già avvenuta diffusione in rete e sulla stampa degli articoli.
A parere del Giudice di secondo grado, il comportamento del lavoratore è inquadrabile nell’esercizio del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro e ritiene insussistenti i presupposti legittimanti il licenziamento.

Il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento quando siano superati i limiti alla continenza formale e sostanziale, dopo un attento bilanciamento dei valori costituzionalmente garantiti

La Cassazione mostra di condividere le motivazioni espresse dalla Corte di Appello, ribadendo il principio di diritto per cui il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento quando siano superati i limiti alla continenza formale e sostanziale, dopo un attento bilanciamento dei valori costituzionalmente garantiti a tutela della persona umana.
Nel caso in oggetto, secondo i giudici di appello e di Cassazione, detti limiti non sono stati superati, occorre prestare però molta attenzione nell’utilizzo dei social network, stante le tante e diverse conseguenze che possono derivare da un uso sconsiderato degli stessi.